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IL SEPARATISMO DI ARCILESBICA RIFIUTA LE DONNE TRANSGENDER E SI BUTTA, COME NELLA CACCIA ALLA VOLPE, TRA LE GRINFIE DEI PADRONI MASCHILISTI
Con stomaco di ferro e nauseante strumentalizzazione ArciLesbica Nazionale pubblica qualche giorno fa un post di una femminista inglese che reagisce ad uno stupro offendendo le donne transgender come “diverse”, laddove la diversità sarebbe il pene (sic! Non tutte lo hanno. Si fa la differenza?).
Lo stupro è uno degli atti più vigliacchi e gravi dell’espressione di potere sulla donna da parte dell’uomo, la rappresentazione più violenta del maschilismo, seconda solo al “Donnicidio” ed è noto che tale violenza provoca in milioni di donne reazioni psicologiche le più disparate: spesso distoniche. Si và dall’innamoramento dello stupratore seriale e carceriere, all’incapacità di avere nuove relazioni d’amore con altri uomini o anche altre donne. Tutte risposte che psicologi, famiglia, amici tentano di correggere, con il tempo e la pazienza, per migliorare la vita di queste vittime.
La reazione scomposta di questa donna inglese è stato un rifiuto di parlare con le donne transgender perché “il pene fa la differenza”. Comprensibile a livello umano, vomitevole sfruttare questa reazione a livello politico per affermare il nuovo corso di ArciLesbica verso l’antica – e ormai abbandonata dalla maggior parte delle donne – via del “separatismo lesbico e femminista”. Ovviamente quel riportare un breve post senza commenti sul loro Gruppo Ufficiale FaceBook ha ricevuto oltre un migliaio di reazioni negative, per la stragrande maggioranza da parte di donne lesbiche e/o femministe e iscritte all’Associazione. Anche qualche donna transgender ha cercato di smontare la costruzione ideologica di ArciLesbica e, successivamente, il MIT (Associazione storica transgender) ha chiesto conto di queste posizioni che, molto brutalmente, dichiaravano le transgender come “non donne”, dopo un decennio di apertura della stessa Associazione alle “trans”. Essendo MIT e ArciLesbica appartenenti allo stesso movimento L+G+B+T, dove L sta per Lesbica e T per Transgender, con giustezza il MIT ha chiesto conto di questa improvvisa inversione a U da parte della dirigenza nazionale di ArciLesbica, perché non si può far parte dello stesso movimento se non vi è rispetto sia per le differenze e specificità, sia per una considerazione reciproca positiva, un appoggio reciproco delle battaglie comuni e singole del “movimento” e delle Associazioni che la compongono. La risposta di ArciLesbica è stata ancora più dura nei confronti del MIT a cui, dice, di non dovere alcuna spiegazione e che loro andranno dritte verso la loro strada. Una strada che porta diritte le donne che fanno quella scelta in bocca ai cani del Padrone “maschio”, come in una “caccia alla volpe”.
Io e l’Associazione per cui scrivo, abbiamo lasciato il movimento L+G+B+T da anni perché già vedevamo i semi della discordia estrema interna alle componenti del “movimento sommatoria” e abbiamo cercato una consapevolezza nuova. Questa visione che esalta le differenze ma non attribuisce a nessuna di queste ruoli da primato, di diffidenza, di malcelata disistima io l’ho riassunta in un libro* e l’Associazione Rainbow Pangender e Pansessuale l’ha fatta propria, costituendo la prima Associazione inclusiva delle differenze, ma non appiattente.
Avevamo visto giusto: ArciLesbica con il suo ritorno al separatismo si comporta come in una caccia alla volpe. Di fronte al maschilismo che avanza e cerca di azzannarla, scappa, si isola autonomamente (almeno nella caccia alla volpe sono i cani a cercare di isolare la volpe, non fa tutto da sola lei) facendo finire le donne che si avventurano nel separatismo (che ha avuto un senso all’inizio del Femminismo e quando il movimento transgender non era ancora sufficientemente maturo politicamente), ma oggi rappresenta solo il panico paranoico del vedere maschilismo persino in chi, più di chiunque altro al mondo, può aiutare le donne a combattere il patriarcato, il maschilismo, la cultura e i comportamenti che genera: noi transgender lesbiche. Del resto, qualsiasi comunità, qualsiasi identità che si chiuda in sé stessa è destinata a rimanere minoranza discriminata.
«Abbiamo qualcosa che fa la differenza», afferma la donna sotto shock dopo uno stupro. Davvero è così? Sì lo è, ma non per “ciò cui lei fa cenno. Semmai noi siamo oppostamente vittime del maschilismo perché, se le giovani donne hanno subito fin dall’infanzia le discriminazioni rispetto ai loro fratelli, noi transgender abbiamo dovuto obbedire a ruoli e stereotipi per noi violenti e discriminanti. Un esempio sulla mia pelle: giocando coi “maschietti” “ai giardinetti” io non avevo la loro aggressività e competitività e spesso finivo con il prendere delle botte. A quel punto, che io corressi dalla mamma o no, lei, accorgendosi del pianto, accoglieva le mie lamentele con una sberla accompagnata dalla frase: “tu sei un maschietto: non devi piangere! Difenditi da solo”. Certo non sono le stesse discriminazioni, ma quanto bruciano anche quelle subite dalle donne “trans” fin dall’infanzia. Anche perché, spesso, da piccole, si cercava di diventare quel che non si era e come voleva la Società Maschilista e la Famiglia Cattolica decenni fa (le adulte di oggi) e chi si ribellava andava incontro alle molestie e dileggio anche dei familiari.
Vero che lo stupro di una donna o bambina nata tale è diverso da quello subito da una donna o bambina transgender. Per le seconde, infatti, se ad esordio precoce, la molestia sessuale è quasi un dato di fatto certo, se non in famiglia, a scuola. Allo stupro si accompagna lo stigma sociale che, per fortuna le donne nate tali non subiscono sempre. Ma subire disconoscimento da parte di altre discriminate, da (alcune) donne con “alta rappresentanza”, è doloroso e separa davvero costoro dal nostro modo di essere donne particolari ma inclusive e comprensive delle differenze. Differenze che proprio il maschilismo condanna, non accetta e punisce.
Sia chiaro. Noi non affermiamo che le donne non possano anche vedersi tra loro, parlare tra loro di alcuni specifici comuni solo a chi è nata donna, così come non siamo contrarie al fatto che anche le donne transgender possano vedersi tra loro e solo tra loro per parlare degli specifici di chi un Genere se lo deve sudare a carissimi prezzi.
Siamo però disgustate dall’usare questa esigenza di una donna sofferente, per generalizzare e marcare una separazione che implicitamente o anche esplicitamente esclude noi transgender dall’essere donne e ci vuole separare da loro, a volte a dispetto anche delle leggi dello Stato che sanciscono la transizione di “sesso” e ne proteggono i dati sensibili.
Per fortuna questo tipo di femminismo lesbico separatista è una estrema minoranza tra le donne in genere. E se ne sono accorte le dirigenti di quell’Associazione che dovrebbero riflettere a lungo di fronte a migliaia di post disgustati di donne femministe e/o lesbiche, molte delle quali appartenenti alla stessa organizzazione o ex appartenenti, piuttosto che reagire con un “noi tireremo dritto” (di fatto, questa la risposta alle proteste).
Le donne nate tali sono differenti dalle donne transgender: bella scoperta!! Lo sappiamo anche noi. Anche le donne africane infibulate da bambine contro il loro volere sono diverse da una newyorkese nata in famiglia liberal.
Ma per costoro – anche a dispetto della Scienza che ha dimostrato che le donne transgender hanno dimorfismi e attivazioni cerebrali sovrapponibili a quelle delle donne e non a quelle maschili – la differenza è in mezzo alle gambe. E sia chiaro per i meno informati: le transgender che hanno ancora un pene, lo hanno esteticamente come quello di un neonato e funzionalmente, dal punto di vista sessuale, incapace di erezioni ed eiaculazione, quindi di penetrazioni. Avete visto sui “porno” trans molto diverse? O sulle strade con i clienti? Sappiate che costoro rispondono ad una legge di mercato maschilista che ama la donna con il pene grande e assumono cialis o interrompono a lungo gli ormoni per sopravvivere (ma noi sappiamo cosa pensano di giorno di questi uomini). Noi nasciamo con “privilegi” che odiamo e per rinunciarvi iniziamo un percorso anche oggettivamente “violento” e assumiamo su di noi il peggior odio, oggi superato solo dalla invenzione dell’”Invasione dei migranti”.
Davvero fa la differenza essere stuprate qualche cm più avanti o più indietro, se si tratta di una donna transgender non operata? Quanta malevolenza pensano, in ArciLesbica, di assegnare ai maschi che violentano una donna piuttosto che una donna transgender? Dieci per le donne e Uno per le donne transgender? Altrimenti perché non condividere la sofferenza?
Le differenze vere, nostro malgrado, risalgono ai primi anni di vita in cui ci è stato insegnato a non vergognarsi dei propri genitali ma anche a “non piangere come le femminucce”. Un condizionamento forzato che, a dire il vero, potrebbe essere più utile alle donne “cis” che a a noi “trans”, in un clima di collaborazione e riconoscimento reciproco.
Ecco, l’ho volutamente scritto: con donne “cis” si intendono le donne nate tali e con donne “trans” quelle non nate femmine. A molte donne non piace. Dicono: io ho diritto di essere donna e punto perché così sono nata. Giusto, siamo noi a dover indicare il nostro specifico – ma solo in alcune specifiche circostanze – che natura non prevede (o meglio prevede per le persone intersessuali, ma si aprirebbe un capitolo troppo lungo). Ma quando si parla tra donne nate tali e non, il “cis” e il “trans” sono abbreviazioni comode per le conversazioni informali. Prima di averlo scritto volutamente, qui non avrete mai letto “donne cis”, non ce ne è bisogno.
Ma le donne nate tali non conoscono alcuni “segreti” maschili, alcuni meccanismi psicologici che li riguardano (ovviamente non tutti ma è una buona generalizzazione, sicuramente maggioritaria), noi sì e.. come si dice.. per combattere un nemico (il maschilismo) , se vuoi vincere, lo devi conoscere bene. Ecco il nostro vero e importante specifico che però aiuterebbe TUTTE le donne (in un clima di reciprocità) ad usare le armi giuste per opporsi con maggiore efficacia alla società patriarcale.
Non siamo custodi di verità assolute, ma neppure maschi che si travestono da donna (con il prezzo che si paga neanche un folle lo farebbe) per sbirciare tra le lesbiche, come ArciLesbica non dice esplicitamente, ma fa capire. Esplicitamente marca solo il territorio con una “pisciatina” (tipica dei maschi) per rappresentare dove le donne transgender non possono entrare.
Noi di Rainbow Pangender e Pansessuale (cioè che vogliamo rappresentare ogni orientamento adulto e consenziente e ogni identità attraverso la collaborazione delle differenze, che, peraltro, noi contiamo in numero maggiore, specie per gli orientamenti che sono di più di due o tre e la separazione non separatista tra orientamento sessuale e orientamento affettivo che non sempre coincidono…) invitiamo tutte le donne, gli uomini, “cis” e “trans” e agender o contragender e asessuali, etero consapevoli e quant’altro ad associarsi dentro una o più realtà che abbiano in comune una cosa: ognuna/o ha le sue differenze e dentro ogni “gruppo” altre differenze (le trans operate e non, le lesbiche butch e lipsitick o femme, i gay mascolini e “fairy” o, per chi vuole riappropriarsi della parola offensiva, checche) ma tutte/i/* con lo scopo di liberare l’umanità dalla subordinazione di un sesso, un gender, un orientamento sugli altri,
Sebbene fuori dal “movimento LGBT” con esso dialoghiamo e cerchiamo di portare una punta del nostro punto di vista ovunque, ci teniamo a chiarire che, nella disputa Arcilesbica/MIT, sottoscriviamo pienamente le parole del MIT, volendo, anche ufficialmente.
Per chi vuole sbirciare la nostra filosofia può leggere il “Piccolo Manifesto Pangender” (altamente incompleto) al link : http://mirellaizzo.blogspot.it/2009/12/piccolo-manifesto-pangender.html
Per chi vuole conoscerne meglio le pieghe più profonde abbiamo un libro da proporvi presente o ordinabile in tutte le librerie (tutte quelle online).
Per Rainbow Pangender Pansessuale Liguria Gaynet
Mirella Izzo (Presidente Onoraria)
Federico Caprini Acquarone (Presidente)
Genova 11/08/2017